catalogo Bracci Doccia

 

Cariatide lignea in una chiesa della Valsabbia

 

Le vicende storiche che hanno interessato la Valsabbia offrono un quadro assai vivace e non quello di un territorio marginale.
Sin dal lontano Medioevo, i Valsabbini hanno attivamente partecipato agli avvenimenti della Città di Brescia, collegandosi molto spesso alle iniziative dei vescovi per condizionare l'influenza delle grandi famiglie di stampo feudale.
In tutto il periodo che va, all'incirca, dal mille fino all'affermarsi del dominio della Signoria viscontea prima e della Serenissima Repubblica poi, è un susseguirsi di vivaci interscambi tra la Valle Sabbia e la Città di Brescia, con il consolidarsi di un forte legame.
Ed anche con il progressivo estendersi dello Stato veneto, la terra valsabbina si vede riconosciuto un ruolo misurato nelle agevolazioni che ottiene nel campo economico e nell'amministrazione.
Per comprendere meglio la "vocazione" al confronto, tipica di questa terra, e la disponibilità a ricevere messaggi innovativi, bisogna far riferimento alla geografia.
La Valle Sabbia, o meglio l'insieme delle convalli che la compongono, a sud si salda al circondario bresciano, sino a confondersi con il suburbio.
A est si affaccia sulla Riviera di Salò, diventandone quasi naturale coronamento, vicino agli orizzonti veneti.
A nord si distingue dalle Valli Giudicarie più per una convenzione politico-amministrativa che per una reale diversità geografica.
Se a tutto ciò si aggiunge la strada di fondovalle, di grande comunicazione, che fino al secolo XVI è stata una delle vie più battute per il collegamento fra la Val Padana ed il mondo germanico, il quadro risulta completo.

Appare così un territorio continuamente coinvolto nelle vicende di Brescia e della Val Padana in generale, sensibile agli influssi veneti per la vicinanza a Verona e, nel medesimo tempo, aperto verso il Trentino e le suggestioni nordiche in senso lato.

La storia valligiana va letta tenendo sempre presente quest'ottica che è di fondamentale importanza per capire l'indole della gente, l'esperienza stessa del "vivere valsabbino" attraverso i secoli.
E naturalmente il patrimonio artistico locale, notevole per qualità e diversificato, risente di questa posizione geografica privilegiata, cosicché è possibile, attraverso un'analisi complessiva, cogliere influenze diverse nelle molte testimonianze di ingegno che ancora costellano i paesi.
Prioritariamente da questa analisi emerge un aspetto. Nel suo complesso la Val Sabbia è sempre stata capace di dare risposte in termini di produzione artistica anche autonoma.
L'ingegno finissimo della sua gente ed, in specie, dei suoi artisti si è sempre mosso con celerità nel riferirsi al mutamento dei gusti, sollecitato da correnti esterne, ma nel medesimo tempo ha saputo elaborare in maniera autonoma ed originale ogni spunto, ogni "provocazione" culturale.
È una produzione che attinge a ciò che si muove nel più vasto panorama extravalligiano e nel contempo è pure l'espressione di una "vocazione" locale per il gusto del bello, concretizzato nella realizzazione di opere importanti in tutto quel vasto contesto che va sotto il nome di "mondo artistico" e che abbraccia le manifestazioni di un altissimo artigianato nella lavorazione della pietra, del ferro e del legno.

Così il patrimonio artistico valligiano, non adeguatamente valorizzato e conosciuto, annovera, accanto ad espressioni popolaresche e locali, mai banali, autentici capolavori che, ad uno studio attento, permettono di far rivivere quella sottile e persistente maglia di intrecci ed influenze che hanno, nel corso dei secoli, legato la "valle dell'arte" al più vasto contesto dell'alta Italia, sconfiggendo così l'ipotesi di una "provincialità" del territorio valsabbino.

"Rivisitando" anche sinteticamente il patrimonio artistico con il metodo cronologico e secondo l'ottica sopra accennata, si ha una netta presa di coscienza della qualità e delle presenze e della produzione.
Delle antiche chiese delle Pievi rimane quasi nulla, perchè le trasformazioni successive ed, in particolar modo, la foga costruttiva dal Concilio di Trento in poi hanno sepolto, sotto le movenze di un barocco elegante, le severe linee delle primitive costruzioni.
Qualche traccia però sopravvive e basta per riportare la memoria del visitatore nel tempo in cui, nelle città della pianura Padana, sorgevano le grandi cattedrali romaniche, emblemi di una robusta concezione spirituale e nel medesimo tempo sintesi ideale del vivere civico.
Certo il romanico della Valle Sabbia, come nei diversi contadi, si piega ad una intuizione più popolare o, per meglio dire, campagnola.
Nel campanile della chiesa di S. Antonio in Caster, in quel di Anfo, nell'abside dell'antica chiesa plebana di S. Maria ad Undas a Idro, nella chiesetta di S. Stefano in Rocca a Nozza e in quella di Barbaine, gli elementi decorativi in cotto, le linee architettoniche complessive rivelano un gusto semplice, ma misurato, che non è frutto soltanto di elaborazione locale.

Anche l'architettura civile residua dei secoli XIII e XIV abbonda di richiami a tipologie ed a motivi decorativi tipici in un'epoca come quella che segna il passaggio fra il mondo comunale, dominato dalle grandi moli romaniche, e l'affermarsi delle Signorie con il primo affacciarsi di elementi stranieri ed umanistici.
Valgano, come esempio assai significativo, le case torri di Ono Degno che presentano, frammisti insieme, decorazioni romaniche, elementi gotici ed affreschi quattrocenteschi, il tutto dominato da sculture-simbolo, enigmatiche teste di raffigurazioni umane e fantastiche, quasi a suggellare l'attività delle famiglie che vollero lacostruzione.

Il Trecento ed il Quattrocento sono straordinari per la Val Sabbia.
Per le sue contrade si spostano artisti di diversa provenienza. Specialmente nella pittura abbondano le testimonianze di presenze assai qualificate. Ed è ancora nella chiesa di S. Antonio in Caster che si colgono elementi importanti. Il frammento di affresco, raffigurante la Crocifissione, sicuramente del 1300, è assai significativo, quasi un indicatore dei legami con esperienze artistiche non soltanto extravalligiane, ma anche fuori dall'ambiente bresciano.
Così pure il discorso si ripete per un altro frammento di un' Ultima Cena con bagliori umanistici e rinascimentali. Il ciclo di affreschi di questa chiesa, databili, nell'insieme, tra i primi anni del 1300 e la fine del 1400, si può riferire per la maggior parte alla scuola veronese e, in particolare, a Liberale da Verona.
L'insieme delle figure è ancora goticizzante, con evidenti richiami all'arte del Pisanello; ma nei paesaggi di sfondo c'è un'atmosfera nuova, una profondità che si richiama al periodo umanistico.
La chiesa, posta proprio sulla grande Via Regia, di comunicazione con la Germania, vicino a quella rocca che proprio alla fine del 1400 incomincia ad avere un preciso ruolo difensivo, ha attirato e favorito la presenza in Valle Sabbia di maestranze artistiche extrabresciane e, con ogni probabilità, venete.
Poco lontano, alla Pieve di Idro, si può ancora ammirare la caratteristica edicola della prima metà del 1400.
Interamente affrescata con santi e simboli, non è certo dovuta al pennello di un pittore locale di ex-voto, ma è sicuramente da attribuire ad un buon artista.
Gli elementi sono quelli tipici dell'arte lombarda. Le figure sono un po' statiche, quasi ieratiche nel loro essere insieme persone e simboli, ma la vivacità dei volti tradisce la propensione dell'artista per il realismo così radicato nell'esperienza lombarda e nel contesto della Val Padana.
Per altro verso, nella borgata di Forno d'Ono culla della potente famiglia Alberghini nel 1300 e legata alla nascita della lavorazione del ferro in Valle, la splendida "Madonna in trono", recentemente scoperta nella chiesa parrocchiale, ha tutte le caratteristiche della committenza nobile.
La Vergine è solenne come le Madonne Toscane; le figure dei santi o forse delle virtù, con paramenti e vestimenti eleganti e distinti, hanno invece volti con tratti realistici, assai vivaci, probabili ritratti di rampolli di casa Alberghini.
Ad una prima lettura, l'affresco potrebbe richiamare esperienze nordiche per la composizione complessiva, ma un'analisi più accurata permette di riferirlo ad un mondo culturale tutto italiano con legami con le correnti artistiche dell'Italia centrale.
Con molta probabilità è opera di un artista che si è mosso nell'ambito della brillante corte di Pandolfo Malatesta nei primi anni del 1400.
Se poi si tiene conto della particolare fedeltà dimostrata dalla Valsabbia nei confronti di Pandolfo ed, in primo luogo, dalla potente famiglia Alberghini arroccata tra questi monti, dai quali traeva ricchezza, ma in perenne movimento per affari e per la ricerca di una legittimazione nobile, allora il discorso diventa ancora più comprensibile.

Nell'estremo nord della Valle Sabbia, nella grossa borgata di Bagolino, lavora alla fine del 1400 il Da Cemmo lasciando quello straordinario ciclo di affreschi della chiesa di S. Rocco.
In questi affreschi il Da Cemmo risulta poeta delicato. Tende ancora ad idealizzare le forme come nelle esperienze tardo-gotiche, mentre il colore è mosso da una palpitazione che sa di umanesimo come nelle prospettive architettoniche ove le reminiscenze classiche entrano di forza.
Traspaiono qui motivi evidenti che si ispirano ad un discorso culturale elaborato nell'ambito padovano.
Il caso di Bagolino, per le committenze artistiche, è poi emblematico per tutta la Valle Sabbia.

Arroccata tra i monti, aperta verso la Val Trompia e la Valcamonica attraverso passi impervi e spesso impediti, la comunità di quel borgo, assai ricca di commerci, chiama, di volta in volta, nel corso dei secoli, artisti di diversa provenienza, operanti nell'ambito di diverse scuole, non fermandosi all'offerta che avanza dalla città di Brescia e dai suoi circoli culturali.

Mentre le chiese poste in località significative per geografia e per importanza economica si arricchiscono di cicli pittorici importanti, per tutto il Quattrocento e per gran parte del Cinquecento c'è un'autentica esplosione di ex-voto, dovuti certo quasi sempre a pittori locali o di passaggio, ma operanti sotto l'influsso di correnti artistiche ben definite ed individuabili.
È il caso degli ex-voto di Sabbio nella splendida chiesa della Rocca, di quelli nella chiesetta di S. Stefano a Nozza, ed ancora di quelli in S. Lorenzo ad Odolo, in S. Andrea di Barbaine, in S. Rocco di Gavardo, in S. Martino a Levrange, in S. Lorenzo a Promo di Vestone, solo per citare i più importanti.

Con l'entrata della Val Sabbia nel dominio veneto, prima in maniera più duttile e poi, dopo l'esperienza dell'occupazione francese con l'apocalisse del sacco di Brescia, in modo definitivo e codificato, anche gli influssi artistici giungono mossi dalle pieghe di quell'universo veneto".
Venezia viene vista come coagulo di tutte le iniziative, splendida capitale, qualche volta odiata per la tassazione e l'immobilismo di uno status-quo volutamente mantenuto, ma sempre sognata per la sua ricchezza e per il suo enorme potenziale artistico e culturale.

La Valle Sabbia partecipa in qualche modo al Rinascimento bresciano, sia affidando opere a grandissimi artisti per decorare chiese, cappelle di confraternite o altro, sia contribuendo egregiamente con artisti propri a quella ricca e attiva pinacoteca che è la Brescia del Cinquecento.

Ad Auro il grande Moretto lascia il "S. Antonio abate", una delle sue opere più significative e pregnanti.
E su questa committenza non mancano certo i buoni uffici di Mons. Donato Savallo, oriundo di queste parti, che arricchì la chiesa di Marmentino di cui godeva i frutti con due splendide tele sempre del Moretto.
Ed ancora ad Auro il Moretto lascia il quadro della Madonna posto sopra l'altare maggiore del santuario.
Purtroppo un'alienazione nella seconda metà del 1800 ha fatto perdere le tracce dell'opera, privandola agli sguardi del fedele e dell'appassionato di cose d'arte.

La lezione del Moretto e degli altri grandi del "Rinascimento bresciano" lascia molte opere in Valle Sabbia attorno alle quali corrono i nomi di molti artisti. Allievo del Moretto, Francesco Richino, nativo di Bione, insieme pittore e architetto, dimostra notevole versatilità e acquisisce grande fama.
Se il disegno della chiesa di S. Pietro in Oliveto in Brescia è suo, come pare, allora anche la parrocchiale di Bione, che con quella chiesa ha una straordinaria somiglianza nelle linee essenziali, potrebbe essere stata costruita seguendo un precedente progetto del Richino o comunque dei suoi appunti.

Ancora in parte oscuri nella loro attività e nei loro movimenti, due pittori valsabbini si muovono negli schemi rinascimentali seguendo la "lezione" che viene dalla Città.
Sono Martino da Gavardo e Martino de Martinazzolis di Anfo.
Al primo si attribuiscono lo splendido polittico della chiesa di S. Lorenzo a Promo e le tavole di S. Agata e S. Lucia, provenienti da Bagolino ed ora in Vescovado; al secondo la Madonna del polittico di Sabbio Chiese ed un affresco su una dimora ad Anfo.
Sono artisti non di primissimo ordine ma non certo di poco conto.
In Martino de Martinazzolis è poi evidente il richiamo alla scuola veronese.

Le chiese della Valle Sabbia abbondano di quadri di autori più o meno noti, manieristi nel senso migliore del termine che si muovono sui modelli dei grandi Foppa, Savoldo, Moretto e Romanino o che si rifanno alla scuola veneta.
Alcuni esempi bastano per illustrare un panorama assai ricco. A Roè Volciano lascia testimonianze Zenon Veronese, a Preseglie il Galeazzi, a Sabbio Paolo da Cailina il Giovane.

Per contro a Lavenone una splendida Deposizione, di autore ignoto, è per se stessa una testimonianza sufficiente della qualità artistica che giunge in Valsabbia, così come la Madonna del santuario delle More che, nell'equilibrio fra classicità e realismo, è un prototipo della scuola bresciana del Cinquecento.

A Livemmo opera Pietro Marone. A Bagolino giungono invece diversi apporti e quello scrigno d'arte, che è la chiesa di S. Giorgio, racchiude una carrellata di opere che vanno dal Torbido al Marone, per giungere poi ad una vasta gamma del Seicento.

Nel Cinquecento compaiono le prime sculture lignee, inaugurando quella vastissima serie di opere che, a partire da questo secolo sino a tutto il Settecento, andranno progressivamente ad arricchire le chiese della Val Sabbia.
Nella scultura lignea si è cimentato con maggior originalità l'ingegno dei valsabbini. Abituati a lavorare il legno, una materia offerta abbondantemente dai boschi, per diletto o per necessità, hanno liberato la loro potenzialità in una ininterrotta trama di creazioni che giunge sino ai nostri giorni.
Questo campo, dimostrandosi congeniale ai montanari, non è rimasto a livello di pura spontaneità, ma è cresciuto attingendo a spunti, a motivi culturali ed artistici di robusta levatura.

Dal santuario di Visello in quel di Preseglie, viene l'originalissimo gruppo scultoreo del Pianto per la Morte di Maria ora conservato nella Parrocchiale.
È una inconsueta rappresentazione sacra, un po' fuori dalla tradizione della pietà locale; richiama invece una devozione tutta orientale.
C'è qui un segno tangibile, e tutto da studiare, di influssi culturali impensati ed una considerazione non ancora approfondita.
Altre statue, rappresentanti la Vergine con il Bambino, concepite in maniera più confacente alla tradizione locale, sono pure da collocare nel secolo XVI, seppur con aggiunte posteriori che ne snaturano un po' l'originale purezza.
È il caso della Madonna del Rosario di Anfo, di quella della Pieve di Mura, per citare alcuni esempi tra i molti della Valle Sabbia. In ogni chiesa rimane qualche opera da riferire a quegli anni.
Appaiono anche sulla scena i primi intagliatori valsabbini che assurgono subito a sicura fama. Basti ricordare, fra i tanti, quel Lodovico da Nozza che, trasferito si a Ferrara nel 1530, vi lascia una testimonianza di altissimo livello nella scultura lignea, raffigurante S. Giorgio, posta in cattedrale e quell'Andrea Baruzzo di Sabbio Chiese, celebre fonditore di bronzo a Roma nella prima metà del Cinquecento.
Come conseguenza si affermano le prime scuole dovute ad imprese familiari come quei Ginamni di Vestone che incominciano a scolpire soase e statue nelle diverse chiese.

Il Seicento ed il Settecento sono i secoli delle grandi costruzioni, del rinnovamento edilizio ed anche due secoli di pittura e di scultura.
Aprono la serie due grandi opere: la chiesa parrocchiale di Bione che matura in una concezione ancora tutta classica e che si fa risalire ad un disegno della cerchia del Richino; e l'imponente facciata della chiesa di Vestone, non ancora sufficientemente studiata, ma sicuramente tassello importantissimo nella storia dell'arte valligiana per l'armonia dell'insieme e la purezza delle sue linee.
Una ricerca approfondita sulla presenza di molte famiglie di artisti comaschi riserverebbe sorprese e permetterebbe sicuramente di dar risposte esaurienti ad alcuni interrogativi.

Il Seicento ed il Settecento vedono in Valle Sabbia una lunga serie di artisti, gli stessi che operano nel più vasto contesto bresciano.
Nel campo dell'architettura è quasi d'obbligo il riferimento ad alcune grandi chiese. In ordine cronologico la prima a sorgere è la parrocchiale di S. Giorgio a Bagolino, opera documentata del Lantana, uno degli architetti del Duomo Nuovo di Brescia.
Questa chiesa, quasi cattedrale, è un po' il vessillo della disponibilità all'apertura artistica dimostrata dalla Valle Sabbia.
Qualche tempo prima, lo stesso Lantana è all'opera ad Ono Degno, tracciando il disegno del santuario della Madonna del Pianto, altro gioiello di quel gusto barocco che andava diffondendosi in Valsabbia, equilibrato e misurato nelle forme tanto da apparir classico.

Verso la fine del secolo a Mura sorge l'altra importante costruzione, cioè la chiesa plebana di S. Maria Assunta, grandiosa per dimensioni e per armonia delle forme.
Qui operano "magistri" comacini su uno schema d'insieme che si ispira alle costruzioni ideate dal Bagnadore.

Si giunge così al Settecento ove il fervore edilizio, anche sotto le precise indicazioni del cardinale Querini, raggiunge il massimo.
Ogni paese modifica o ricostruisce la sua chiesa. È una vera costellazione di opere d'arte.
Tra tutte spiccano però alcune, vere perle in questo firmamento artistico.
In particolare la parrocchiale di Preseglie, dovuta all'abate Gaspare Turbini, quella di Vobarno sempre dello stesso autore, la parrocchiale di Serle, quella di Comero di Carlo Corbellini ed, infine, quella di Ono Degno, la più bella chiesa tardo barocca di tutta la Valle Sabbia per unitarietà di stile architettonico ed armonia di decorazioni.
La chiesa è terminata nel 1770 su un disegno al quale verso il 1733 potrebbe essere stato interessato Antonio Biasio, altro architetto della fabbrica del Duomo Nuovo di Brescia, ad Ono per altri lavori nel santuario proprio in quegli anni.

Concludono la serie delle grandi chiese quella di Provaglio Valsabbia e quella di Lavenone, dovuta in parte al Turbini, esempio grandioso del gusto neoclassico e certamente la testimonianza più nobile di questo stile in Valle Sabbia.
Pure alcuni scultori assai noti a Brescia lasciano opere in Valsabbia come il Calegari che adorna di statue particolarmente espressive la chiesa di Vobarno.

Come in architettura, così in pittura è tutto un susseguirsi di testimonianze che si squadernano per due secoli. Parrocchie, confraternite e privati fanno a gara nell'adornare chiese, specialmente dopo la terribile pestilenza del 1630.
In Val Sabbia ci sono opere di molti degli artisti che animano la vita pittorica bresciana in quegli anni.

Il Seicento si apre con una lunga serie di pittori.
Palma il Giovane lascia opere a Nozza, Comero, Mura, Vestone, Bagolino.
Camillo Rama affresca il santuario di Ono Degno e la Parrocchiale di Bagolino.
Per la chiesa di S. Giacomo a Caselle, di antica reminiscenza monastica, il Salviati esegue una splendida pala.
Antonio Gandino che riecheggia la lezione del Moretto e del Palma è l'autore di altre opere di cui una ancora nella chiesa di S. Giorgio a Bagolino.
Ed il cerchio si allarga alle presenze più diverse.
Pietro Rosa, allievo del Tiziano, esegue un quadro per la chiesa di Bagolino, il cremasco Barbello lavora pure in questo paese e ad Ono Degno.
Accanto ad artisti chiamati dalla Città di Brescia dalla committenza locale, a dimostrazione dell'ampliarsi degli interessi economici e culturali di molte famiglie valsabbine emigrate anche fuori valle, si rafforza una schiera di pittori locali non insignificanti.

I Bionesi Massimo Riccobelli e Giovan Battista Bonomini firmano tele assai riuscite a Bione, Odeno, Avenone.
A Belprato firma un quadro Francesco Noventa di Gavardo.
Domenico Voltolini, stabilitosi a Vestone, arricchisce di sue tele le chiese di Mura e di Ono Degno.

Nella seconda metà del Seicento la Valle Sabbia subisce l'ingegno versatile e splendido di Andrea Celesti che si protrae anche nei primi anni del Settecento.
Egli lascia opere a Ono Degno, a Bagolino, a Belprato.
La famiglia Paglia, e più specificamente con Antonio, Francesco ed Angelo, diffonde, con la sua arte, una poeticità nella composizione e nei colori.

Il Settecento vede gli impegni di Sante Cattaneo, di Pietro Corbellini e di molti altri validi e meno validi che si muovono nell'ambito delle scuole che dominano il mercato dell'arte.
Impera il clima veneto nelle forme e nei colori. Le chiese della Valle Sabbia, anche se in dimensioni più ridotte, si accostano a quelle della città lagunare, temperate però nelle linee da quel radicato realismo che le rende più essenziali, secondo una concezione tipica dei bresciani, ma ancor più delle valli montane.

Pietro Scalvini, con i suoi fantasiosi affreschi e le sue scenografie spigliate, concorre a dare un'unità d'impronta a molte architetture.
Così il suo ingegno si manifesta a Nozza, a Preseglie, a Comero, a Ono Degno, a Livemmo, lasciando un'atmosfera di teatralità tipica del tardo-barocco.
Ad ulteriore dimostrazione dell'apertura della Valle Sabbia agli apporti di artisti impegnati su un campo molto più vasto, il Pitocchetto dipinge a S. Faustino di Bione tre notevoli tele, importanti per una valutazione della sua produzione a soggetto religioso.
Proprio questo secolo vede l'affermarsi di un pittore locale. È Antonio Dusi, ritenuto da alcuni nativo di Bione, ma, secondo un recente studio, nativo invece di Ono Degno. Egli opera in abbondanza ad Ono, Levrange, ma dipinge anche a Mura.

Il Settecento, dopo tanta esplosione di creatività, si esaurisce lentamente insieme al dominio veneto, vittima in un certo senso del proprio immobilismo e dell'incapacità, dopo tanta passata saggezza, ad immaginare novità significative.
Se le maggiori espressioni artistiche si trovano naturalmente nelle chiese, anche l'architettura civile abbonda di esempi notevoli.
Nonostante le manomissioni, le trasformazioni spesso assurde ed una "massificazione" del gusto e dei materiali usati negli ultimi anni, i paesi conservano ancora molte dimore dei secoli XVII e XVIII, degne di essere conservate e rivalutate per la bellezza dei loro insiemi.
Nella media e nella bassa Valsabbia sono diffusi loggiati eleganti unitamente ad una concezione degli spazi più distesa.
Nell'alta Valle Sabbia invece le dimore tendono ad occupare meno spazio e si sviluppano in altezza.
Sono queste dimore che ancor oggi perpetuano il ricordo di una borghesia mercantile non banale nelle scelte e non digiuna di nozioni culturali.
Questa stessa borghesia, che traeva i proventi per una discreta agiatezza da un'economia integrata tra le rendite delle campagne e dei boschi ed i proventi del commercio della "ferrarezza", aperta e dinamica con frequenti spostamenti sui mercati di diverse città, chiamò in Valle Sabbia architetti ed affreschisti per avere dimore degne di un prestigio sociale acquisito.

E dimore significative si alternano a case più semplici, a Gavardo, a Roè Volciano, a Sabbio, a Odolo, a Preseglie. Alcune assurgono a livello di veri palazzi.
A Lavenone la casa Brunori, ex Gerardini, complessa e articolata, è un autentico palazzo nell'insieme dei vari corpi e delle decorazioni.
A Ono Degno la casa Tabadorini, ex Pirlo, è una costruzione elegantissima con interni completamente affrescati tra il 1720 ed il 1740.
A Bagolino il palazzo Foglio ha un aspetto più semplice e lineare con un'eleganza più contenuta.
Da questi cenni balza evidente una considerazione: nell'architettura civile, nel passato, la Vallesabbia ha mostrato più autonomia, più originalità di oggi.
Ora, nonostante un tenore di vita complessivamente più elevato, c'è quasi l'assuefazione a mode sopportate, ma non vissute veramente.

Se si vuole però ricercare la vera "anima" della valle artistica, quella più autentica e locale, quella meno condizionata dalle mode esterne, anche se non chiusa e refrattaria alle innovazioni, bisogna riferirsi al vasto campo dell'intaglio ligneo.
L'antica consuetudine a lavorare una materia locale per ottenerne attrezzi utili e abituali ha favorito l'attitudine particolare dei montanari a trasformare il legno, a "piegarlo" all'intuizione, a ricavarne cioè oggetti artistici.
Quando poi a "piegare" questo legno sono stati artisti veri, ne sono nate cose eccelse, che si accompagnano degnamente alle altre manifestazioni artistiche, quali l'architettura, la pittura o la scultura del marmo.

La Valle Sabbia, ancor più di altre terre del Bresciano, è la valle dell'intaglio ligneo.
Le testimonianze di questa continuità di ispirazione e di ricerca di nuove forme vanno dal 1500 sino al 1800 o, per meglio dire, sino ai nostri giorni.
È il settore più genuino dell'espressività artistica valsabbina e anche qui è evidente l'abitudine di questa gente a non chiudersi mai in schemi troppo rigidi e localistici, ma ad assimilare e trasformare con la propria sensibilità ed esperienza motivi e spunti offerti da artisti di grande fama o da canoni consolidati dal buon gusto.
Se per gli autori che operano nel Cinquecento qualche elemento di riferimento è ancora dubbio, a partire dai primi anni del Seicento il panorama si fa più chiaro.
Nascono autentiche scuole locali, quasi sempre, all'origine, dovute all'iniziativa di un versatile valligiano, che ha imparato da artisti di passaggio l'arte dell'intaglio.

L'elenco è lungo e assai vario. Vale però la pena di ripercorrerlo per avere un quadro esauriente.
Agli inizi del Seicento opera la famiglia Ginamni di Vestone che lascia intagli a Bione, ad Avenone ed in altre chiese sparse per la Valle.
Questa è la prima bottega locale anche se molti altri artisti hanno lasciato testimonianze significative lungo tutto il Cinquecento.
Poi la produzione abbonda. Degli inizi del 1600 è la splendida porta della chiesa parrocchiale di Gavardo.
Artisti locali che hanno iniziato la loro carriera come umili "marengoni" si affermano e assumono commesse, alternandosi ad artisti che vengono da fuori.
È il caso dei Bonomi di Avenone che, attivi già verso la metà del Seicento, raggiungono il periodo di maggior splendore negli anni a cavallo tra il 1600 ed il 1700; oppure dei Montanino di Brescia presenti, in Valle Sabbia, a Ono ed a Bione ed in altri paesi dal 1667 in poi.
Ed infine dei più celebri Pialorsi di Levrange, noti come "Boscaì", che iniziano la loro attività in tono minore già nei primi anni del 1600 per avere poi un periodo di straordinario fervore artistico dal 1690 al 1750.

Accanto a queste famiglie, altre, seppur in tono minore, si affermano. Sono i Prandini di Nozza, attivi alla fine del 1600 e per buona parte del 1700, Marchiondo Bonomini di Bione, gli Arici di Mura ed i Bertoli di Prato.
Ma altri intagliatori, meno noti, ora sepolti nella dimenticanza per mancanza di documenti, devono essere stati presenti in molte parti della Valle Sabbia.

Le opere sono tante e tutte belle. I Bonomi hanno lasciato il meglio della loro arte nelle chiese delle Pertiche, di Bovegno, di Mura e di Bagolino.
Particolarmente importante il connubio tra un robusto trentino, Baldassar Vecchi di Ala di Trento e Gio. Pietro Bonomi, che, fra il 1680 ed il 1688, produce tre spendide soase e precisamente quella dell'altare maggiore della Parrocchiale di Avenone, quella dell'altare di S. Giovanni Evangelista a Bovegno ed infine quella dell'altare della Madonna di S. Luca nella chiesa di S. Giorgio a Bagolino.
La collaborazione artistica fra questi due intagliatori, vero miracolo di ingegno, fonde il realismo del modellato dei corpi di stampo nordico con una fantasia spigliata negli ornati e nelle scenografie d'insieme. La presenza di Baldassar Vecchi è un elemento per approfondire i legami artistici tra la Valle Sabbia ed il Trentino, sebbene tutti e due i territori abbiano risentito moltissimo dell'influsso veneto.
Nell'attività dei Pialorsi "Boscaì" si riassumono quasi tutti i motivi dell'arte dell'intaglio ligneo valsabbino.
Non c'è chiesa della Valsabbia che non abbia avuto qualche contatto con questi intagliatori.

Ovunque hanno lasciato opere o comunque spunti per realizzazioni eseguite da altri.
Tra tutti gli artisti della famiglia Pialorsi si distinguono Francesco ed il figlio Giovan Battista.
A questi sono da riferire gli splendidi intagli della chiesa parrocchiale di Levrange, del santuario di Auro, della chiesa di Idro e moltissimi altri.
Non serve enumerare tutte le loro opere; serve invece sottolineare che si tratta di una vera arte.
Infatti se si pensa che questi intagliatori, prima di eseguire l'opera, erano soliti sottoporre ai committenti un bozzetto con tanto di disegno, si comprende ancor meglio che qui l'artigianato ha raggiunto le vette di una vera elaborazione culturale.

I motivi floreali, i putti, le statue di santi, le madonne, sono inseriti in prospettive architettoniche che denotano una conoscenza precisa dei dibattiti e delle tendenze dominanti al momento nell'architettura, nella pittura e nella scultura.
Attraverso un'attenta analisi di questa produzione è possibile collegarsi a particolarità di diversi artisti operanti in un campo più vasto di quello della Val Sabbia.

C'è un pullulare di idee e di intuiti geniali, "misurati" in un insieme ben definito dove traspare una elaborazione di pensiero anche religioso con riferimenti a nozioni teologiche, testimone di quell'ingegno finissimo di montanari già ricordato.
Nel trionfo barocco delle sculture lignee valsabbine si legge il continuo affinamento delle idee e del gusto, un lavorio interiore per riuscire ad esprimere una concezione della vita in cui si crede veramente.

Con la seconda metà del Settecento c'è l'affermarsi del neoclassico che privilegia il marmo, o comunque ciò che ad esso assomiglia, seguendo un impulso razionale ed intellettualistico.
Allora la committenza per gli intagli lignei vien meno e con il penetrare di questa nuova moda, anticipatrice dell'imminente cambiamento politico, termina un'attività feconda e fondata su una palestra di ingegno protrattasi per quasi trecento anni.

Quasi sempre si è soliti fermare l'attenzione sulle arti più note, come l'architettura, la pittura e la scultura.
Ma anche le espressioni, considerate a torto minori, del diversificato artigianato, raggiungono vette artistiche e sono importantissime per comprendere l'animo complessivo di un popolo.
È anche dalla ricchezza degli arredi sacri che si vede la distinzione passata di una comunità; è dalla qualità dell'arredo civile che si vede il potenziale economico di una famiglia.
Nonostante le alienazioni, le sistematiche e programmate ruberie del periodo napoleonico e quelle quasi altrettanto sistematiche più recenti, il patrimonio in Valle Sabbia è notevolmente ricco e di buon gusto. Bastano pochi esempi a dimostrarlo. Sabbio e Preseglie conservano due splendide croci processionali d'argento, rispettivamente del 1537 e del 1595, gelosamente custodite durante i secoli. Di rilevante interesse le lanterne in ferro battuto del secolo XVI di Malpaga, bell'esempio di una lavorazione diffusa nei secoli scorsi quando i valenti docimastri sapevano far miracoli con il ferro.

Per andare poi nel vasto campo dei paramenti, ove mani pazienti hanno prodotto autentici capolavori; valgano per tutti quello di Pietro Mezader camuno, ricamato nel 1614 e conservato a Comero, quello in seta bianca prodotto per la chiesa di Navono dalla ditta Sueri di Brescia nel 1781 ed il baldacchino neoclassico della chiesa parrocchiale di Casto.
Dal campo religioso alla vita di tutti i giorni il passo è breve.
Così nei mobili delle case, nei motivi ricercati delle inferriate in ferro battuto, negli intagli lignei di utensili, di balconate, nei portali in pietra scolpita che assurgono a simboli assai ricercati e sfarzosi dell'identità familiare, in Valsabbia è tutto un patrimonio molto ricco che annoda, di testimonianza in testimonianza, i fili di una vita passata non ricca, non del tutto misera, ma assai versatile per ingegno ed inventiva.

Dai grandi esempi dell'arte, il buon gusto è così penetrato nella vita di ogni giorno ove praticità e senso estetico si sono fusi.
Il mondo eminentemente contadino ha sfruttato i tempi morti della produzione e le necessità imposte da una natura severa e qualche volta inclemente, per creare architetture semplici e pratiche ma mai di cattivo gusto, attrezzi da lavoro ed oggetti di casa, tutti con un segno di distinzione, una specifica tipicità che personalizza ogni cosa e che la trasforma in un messagwo che è un insieme di equilibrio fra la tradizione e l'innovazione. Alfredo Bonomi 12/1989.