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Antica mappa della Valsabbia

 

Volendo definire una peculiarità della storia valsabbina, la si può riassumere in un concetto generale di appartenenza chiamandola "Valle veneziana".
Trecentocentocinquant'anni di inserimento nei territori della Serenissima Repubblica non sono infatti soltanto un periodo lunghissimo della nostra storia, ma in gran parte coincidono con la formazione stessa del carattere valligiano.

Ancor oggi, persistono, sparse nell'attualità, reminiscenze culturali, comportamentali, di mentalità che trovano spiegazione nel dominio veneto; più evidente è lo stretto legame nelle testimonianze artistiche.
Nessuna dominazione ha lasciato segni così evidenti; nemmeno l'attualità, dall'Unità d'Italia in poi, ha del tutto assopito le tracce della persistente cultura veneta, penetrata, radicata in generazioni di valsabbini e cresciuta con il crescere stesso della Valsabbia.
La presenza di Venezia ha forgiato i caratteri nel bene e nel male e ciò perchè non c'è stato un fatto di pura conquista.

La storia insegna che, sin dall'inizio, i valsabbini si sono fortemente identificati con la politica della Serenissima, vista sì come dominante nel momento della richiesta dei tributi, ma avvertita anche come "vicina".
In altre parole c'è stata una identificazione per cui lo stendardo di S. Marco per i valsabbini non ha soltanto significato i privilegi della non vicina e splendida città lagunare, ma per larghissima parte ha rappresentato le loro aspirazioni, nel loro essere sudditi ma, nel medesimo tempo, compartecipi delle vicende dello Stato veneto.

E non è sicuramente un azzardo affermare che le glorie e le difficoltà della politica di Venezia, seppur gestite esclusivamente dai nobili dell'"albo d'oro", sono state anche le glorie e le difficoltà di questi fedeli sudditi, rinserrati fra gli stretti orizzonti della Valle Sabbia ma con lo sguardo teso agli splendori del palazzo ducale ed alle mode opulente sfornate dai palazzi del Canal Grande.

Questo segno indelebile di "venezianità" traspare nell'architettura, nella pittura, nelle feste, nelle tradizioni popolari, in quel gusto così diffuso verso le forme estetiche che temperano la crudezza del vivere.
L'identificazione con Venezia ha radici lontane e motivazioni ben precise.
È, come accennato, l'origine della dominazione veneta a creare i presupposti per questo ritrovarsi uniti, per l'accettazione convinta di un governo che, in realtà, non è stato sempre generoso.
È ancora all'inizio che bisogna ricercare le ragioni di questa fedeltà, di questo orgoglio di appartenenza.

Uno sguardo alla vicenda illumina questo aspetto.
Nel 1337 inizia per Brescia e per il territorio bresciano la Signoria viscontea.
Nel 1357 la Valle Sabbia passa in eredità a Bernabò Visconti.
Il governo visconteo, accentratore e rapace, programma lucidamente un continuo drenaggio di risorse verso il centro della Signoria che si concretizza visivamente nella splendida e raffinata corte di Milano.
Nella sua ottica le autonomie locali non hanno senso; a maggior ragione poi se i territori, come la Valle Sabbia, hanno lungamente sostenuto la Città nella lotta contro lo strapotere dei nobili di stampo feudale per far nascere un governo più democratico, vicino alla concezione comunale.
Il dominio visconteo vede così continue tensioni e tentativi di ribellione.
La Valle Sabbia, con Pietro Avogadro e Galvano della Nozza, insorge contro i Visconti facendo leva sulle esigenze di sgravi fiscali per le imposizioni divenute intollerabili ma anche su motivi ideali.
Un fatto è certo: la Signoria dei Visconti viene mal digerita da Brescia, ma ancor peggio dalle Valli ed in specifico dalla Valsabbia per il suo carattere di estraneità alla mentalità, al costume ed alle esigenze economiche bresciane.

Lo dimostra il fatto che per un certo tempo si guarda agli Scaligeri di Verona come vicini ritenuti più sensibili verso gli interessi di gran parte dei bresciani.
Con la Signoria di Pandolfo Malatesta, veloce meteora brillante e discutibile che si esaurisce nell'arco di pochi anni, dal 1404 al 1420, si intravvedono le prime avvisaglie dell'accettazione da parte dei valsabbini di un'autorità ritenuta condivisibile per le sue azioni.
Con il Malatesta che si lega ai patrioti valsabbini che hanno osteggiato i Visconti, la Valle Sabbia ottiene nel 1406 ampi privilegi di natura essenzialmente economica ma anche amministrativa.

Inizia così un tempo che vede sì le decisioni politiche prese comunque da un vertice lontano dalla Valle Sabbia, ma che si raccorda alle esigenze delle popolazIoni, specialmente a quelle dei ceti imprenditoriali.
È da questo specifico procedere che nasce la fedeltà della Val Sabbia.
È da questa intuizione di concedere autonomia nel campo amministrativo e privilegi economici ad una terra non certo ricca che si consolida poi nella gente il senso di appartenenza allo Stato.

Nel 1427, dopo un nuovo tentativo dei Visconti di riprendere Brescia e la Valle Sabbia con una politica divenuta improvvisamente più sensibile alle autonomie, ha inizio la lunga vicenda della presenza veneziana.
Questo inizio, memore degli insegnamenti del governo malatestiano, è caratterizzato da un preciso fatto: l'esonero per i valsabbini dai dazi sul trasporto delle "ferrarezze", provvedimento lungimirante che viene incontro alle necessità di un'attività troppo importante per la Val Sabbia per essere trascurata, almeno all'inizio di un nuovo governo.
E Venezia si muove con estrema saggezza.
Riserva gelosamente a sè tutte le decisioni politicamente importanti, o, meglio, la "politica dello Stato", ma diplomaticamente sviluppa tutta una serie di attenzioni per le esigenze locali, attuando veramente quel decentramento amministrativo che ancor oggi, per certi aspetti, rimane un modello di riferimento.
Questa linea, nonostante alti e bassi dovuti alle alterne vicende dello Stato veneto, rimarrà sino ai giorni di agonia della Serenissima Repubblica, morta per vecchiaia con il colpo di grazia dato dai Francesi, ormai incapace ad immaginare qualche atto nuovo, qualche moto innovativo.
E negli ultimi giorni del suo esistere avrà la sorpresa di vedere i valsabbini difendere con autentico eroismo il suo nome e soccombere sotto l'agguerrito esercito francese.

Nel 1440 Venezia concede alla Valsabbia altri privilegi e la riduzione di molte imposte.
Nel 1454 alla Quadra di Val Sabbia viene riconosciuta una particolare autonomia con propri statuti.
Ha così inizio la storia della Comunità, unità amministrativa staccata da Brescia e dal resto del Territorio.
Nella sede della Comunità, a Nozza, vengono trattate le cause civili ed anche quelle penali di minor rilievo.

Ma onde non peccare di eccessivo accentramento anche in periferia, a due territori, piuttosto scomodi ma ben definiti nelle loro tradizioni e nella loro unità geografica, viene pure concessa una autonomia amministrativa, nell'ambito della Comunità: è il caso di Bagolino e dei comuni della Pertica.
Le tappe di questo disegno autonomistico, che via via si consolida in maniera massiccia tra le popolazioni e che le avvicina a Venezia sono tante e significative.
Nel 1463 viene riconosciuta alla Valle Sabbia la definitiva separazione dal resto del territorio bresciano e viene confermata una larga autonomia amministrativa con vincoli diretti di dipendenza soltanto da Brescia e da Venezia.
Come risposta a questo fatto si moltiplicano gli statuti di singoli comuni che fissano in norme precise le regole del loro vivere quotidiano.
Dopo la parentesi della dominazione francese, nota alla storia per il tremendo sacco di Brescia del 1512 che le cronache riportano con toni di orrore, forse prima ed unica causa dell'interrompersi dello splendido "Rinascimento" bresciano, Venezia consolida i suoi possedimenti.
E da questi anni il rapporto periferia-centro diventa dialettico. Venezia nel primo periodo del suo governo concede voutamente molto; poi ha via via fasi alterne come alterna è la sua politica.

A partire dal 1567 i valsabbini incominciano a chiedere ed a vivere anche gli aspetti meno accettabili della politica veneta senza però mettere mai in discussione l'appartenenza alla Repubblica.
Chiedono come chiede chi, in periferia, si vede mortificato nei commerci e nelle aspettative per decisioni che passano sopra la sua testa e che rispondono a disegni più generali di opportunità politica o di opportunismo di ceti benestanti.
Ma l'autonomia amministrativa non viene mai messa in discussione. Nel 1573 si pubblicano gli statuti della Comunità come codificazione di norme unificanti il comportamento degli abitanti dei diversi paesi.
Per avere un simbolo concreto di questa convergenza di sentimenti e di abitudini, nel 1585, viene costruita la Casa della Valle, quasi a riprendere nuovo slancio locale dopo la brillante vittoria riportata da Venezia sui Turchi nel 1571 a Lepanto.
Gli echi di questa epopea giungono in Valle Sabbia anche con il sorgere ed il diffondersi delle confraternite del S. Rosario suggerite per chiedere aiuto alla Vergine in un momento di grande pericolo per l'aggressività degli infedeli.
Così dopo questa nuova prova di eroismo da parte della Repubblica in una titanica lotta per tamponare il progressivo ed irreversibile avanzare dei Turchi, nel 1597 la Valle Sabbia ottiene una completa autonomia mercantile.

Il Seicento, con la guerra dei Trent'anni, la peste, la guerra di Candia ed una politica fiscale più rigida, passa tra alti e bassi; in Valle Sabbia giungono gli echi della politica veneziana o per l'imposizione di nuove tasse o per altre richieste o con le notizie che corrono con i numerosissimi dispacci e con i valligiani che, per motivi diversi, si recano nella capitale.
Anche molte famiglie venete di ceto distinto prendono dimora in Valsabbia con precisi compiti affidati dal governo.
Specialmente nel campo del pensiero, delle lettere e dell'arte si attua una completa identificazione tra la Valle Sabbia e Venezia. Le chiese vengono arricchite di opere d'arte di scuola veneta; anzi, tutte le maestranze qualificate hanno rapporti con Venezia.
I costumi risentono delle mode veneziane, così l'abbigliamento, la cucina, gli arredi domestici, che nelle case distinte copiano quelli sfarzosi dei palazzi veneziani.


Il Settecento in gran parte è secolo di carestie e di fervore nell'edilizia religiosa.
L'economia ristagna e si susseguono periodi difficili per la Val Sabbia.
Nonostante ciò non viene minimamente messa in discussione l'appartenenza ad uno Stato di cui si condividono difficoltà, usi, costumi e strategie politiche.
È pure in questi anni che prende corpo quell'attendismo veneto che è sostanzialmente la conservazione di ciò che si è sperimentato e la paura del nuovo, conseguenza certo del progressivo esaurirsi delle potenzialità della gloriosa Repubblica.
Questo atteggiamento si accompagnerà alla tipica mentalità contadina, ligia alla tradizione, refrattaria ad abbracciare ciò che non conosce.
Come in una vena profonda, scorrerà per molti anni nella gente valsabbina insieme ad un misto di saggezza e di filosofia spicciole, sospettose verso le idee e le proposte non sufficientemente sperimentate.

Nonostante le difficoltà economiche, il brigantaggio, il malgoverno di alcune famiglie aristocratiche, le suppliche al Doge, sempre più pressanti, l'impotenza complessiva dimostrata dall'ossatura dello Stato a rinnovarsi, non vi è traccia nei fatti di tutti questi anni del coagularsi di una vera disaffezione politica tendente a mettere in discussione il ruolo della Repubblica veneta.
Verso la fine della sua lunghissima vita, lo Stato di S. Marco dà però, ancora, un grande esempio di efficienza che fa invidia a certe inefficienze ed incapacità dei nostri giorni.
Dopo il tremendo incendio che nel 1779 distrugge completamente il grosso borgo di Bagolino, in pochissimo tempo, con un grandioso progetto studiato nei minimi dettagli, razionale e completo, vero capolavoro di ingegno e di esperienza amministrativa, la Repubblica ricostruisce il paese lasciando quest'opera colossale quasi come testamento dell'efficienza del buon governo alla Valle Sabbia.

Diventa allora pienamente comprensibile il senso della rivolta valsabbina nel 1797 contro i giacobini bresciani e francesi nel nome di S. Marco.

Non fu un atto di folklore locale nè una superficialità; fu invece l'esplodere di un sentimento patriottico, unito, se si vuole, a quel senso di attaccamento alla tradizione, tipico delle popolazioni delle valli, contro coloro che sovvertivano una storia condivisa nell'essenza e ispirata a valori considerati ancora largamente validi e non imposti.

Così il dominio veneto, che si era aperto con una larga disponibilità verso i valsabbini da parte degli acuti politici veneziani, si conclude significativamente con un atto di fede manifestato attraverso un genuino coraggio ormai ignoto agli stessi nobili detentori del potere e pagato con la distruzione di gran parte dei paesi della Valle Sabbia.
Nel 1797 termina fisicamente lo Stato veneto, ma non termina la "venezianità" della zona che continua, non tanto nel ricordo, ma in moltissime testimonianze artistiche ed in altrettanti atteggiamenti del vivere quotidiano. Alfredo Bonomi 12/1989.